Quaglia, Stefano
30.09.2021
Quaglia, Stefano (2021). La preghiera a Maria nel XXXIII canto del Paradiso. Ars docendi, 8, settembre 2021.
La preghiera di San Bernardo alla Vergine, all’inizio del XXXIII canto del Paradiso, non è mai stata oggetto di particolare attenzione scolastica, almeno a mia memoria. Forse perché l’alone critico della visione crociana ne aveva in certa misura attenuato l’impatto sulla sensibilità poetica comune. Forse anche perché la, mai espressa formalmente, ma profondamente salda, alleanza ideologica a sfondo materialistico e agnostico (se non persino anticlericale) degli anni Settanta del Novecento fra la critica marxista, dominata dal formalismo russo e da certe correnti della semiotica linguistica, e lo storicismo di marca liberale idealista, aveva dato vasto e persistente seguito a quella disattenzione, congelando la preghiera dantesca a Maria fra le espressioni meno poetiche e perciò meno degne di lettura scolastica. Fatto sta che fino alla fine del XX secolo la cultura dominante vedeva Manzoni e Dante in linea con un cattolicesimo ritenuto troppo propenso a evangelizzare mediante la cultura e comunque tanto poco attento a difendere la laicità dell’arte. Si aggiunga infine il sempre molto difficile approccio alla lingua della Divina Commedia e il fissarsi di una koinè scolastica su una selezione di canti standardizzata e condivisa che in certa misura rassicurava, di generazione in generazione, l’accostamento al grande poema. Bisognava arrivare a Sermonti e a Benigni, per assistere a una nuova stagione di rinascita dantesca.
La preghiera di San Bernardo alla Vergine, all’inizio del XXXIII canto del Paradiso, non è mai stata oggetto di particolare attenzione scolastica, almeno a mia memoria. Forse perché l’alone critico della visione crociana ne aveva in certa misura attenuato l’impatto sulla sensibilità poetica comune. Forse anche perché la, mai espressa formalmente, ma profondamente salda, alleanza ideologica a sfondo materialistico e agnostico (se non persino anticlericale) degli anni Settanta del Novecento fra la critica marxista, dominata dal formalismo russo e da certe correnti della semiotica linguistica, e lo storicismo di marca liberale idealista, aveva dato vasto e persistente seguito a quella disattenzione, congelando la preghiera dantesca a Maria fra le espressioni meno poetiche e perciò meno degne di lettura scolastica. Fatto sta che fino alla fine del XX secolo la cultura dominante vedeva Manzoni e Dante in linea con un cattolicesimo ritenuto troppo propenso a evangelizzare mediante la cultura e comunque tanto poco attento a difendere la laicità dell’arte. Si aggiunga infine il sempre molto difficile approccio alla lingua della Divina Commedia e il fissarsi di una koinè scolastica su una selezione di canti standardizzata e condivisa che in certa misura rassicurava, di generazione in generazione, l’accostamento al grande poema. Bisognava arrivare a Sermonti e a Benigni, per assistere a una nuova stagione di rinascita dantesca.